Storia

Tuttavia l’unità nazionale non fu una conquista pacifica per gli abitanti della piccola Carbonara. Al mutamento politico si oppose la forte resistenza popolare, alimentata soprattutto dalle antiche tensioni sociali nate dalla mancata ripartizione dei demani tra i contadini. Il giorno stesso del plebiscito per l’unità delle province meridionali alla monarchia sabauda, il 21 Ottobre 1860, scoppiò in paese una cruenta reazione filoborbonica in cui furono assassinati nove "galantuomini" e fu dato il sacco all’intero paese. Per cancellare l’onta della sanguinosa rivolta antiunitaria, Carbonara divenne Aquilonia, in omaggio ai fasti dell’antica città sannita che si diceva sorgesse proprio su quelle alture (1862).
 
I disboscamenti reclamati fin dai primi anni dell’Ottocento dai contadini per mettere a coltura ampie parti dei fondi boschivi procedettero in modo forsennato. Intere montagne persero così per sempre gran parte del loro manto arborato. L’attacco dei contadini alle risorse forestali locali fu massiccio. Carbonara conobbe tre quotizzazioni, molto travagliate, che corrossero profondamente lo spirito pubblico. Esse si sovlsero in una clima di perenne rissosità, di lotta violenta tra famiglie e partiti locali, in cui il gruppo di volta in volta egemone usò tutti i mezzi per ritardare, contrastare o comunque volgere a proprio favore, la quotizzazione demaniale. Il processo che durò oltre cento anni, dal 1810 al 1934, portò alla definitiva scomparsa di una percentuale variabile tra il 70 ed oltre l’80 per cento del manto forestale originario del paese. Interi demani sparvero completamente come patrimonio pubblico (Sassano, Mattina, buona parte della Mezzana), senza tuttavia risolvere il problema della povertò generale della popolazione.
 
Dopo l’Unità il brigantaggio afflisse l’Irpinia come tutte le province del Mezzogiorno. I nomi di nuovi e più famosi briganti, come Carmine Donatelli detto Crocco, che invase e saccheggiò Aquilonia nell’Aprile del 1861, Nicola Summa detto Ninco Nanco, Sacchetiello, Caruso, sono vivi ancora oggi nella memoria degli abitanti. Protagonisti di cruenti scontri con le truppe dell’esercito piemontese nei boschi che circondano il paese e lungo il fiume Ofanto, i briganti hanno incarnato l’idea del contadino in rivolta, del ribelle violento, appassionato, povero e disperato, in lotta contro la miseria e l’abiezione a cui lo costringevano il generale sottosviluppo ed i soprusi di una stretta cerchia di possidenti locali.
 
Al disinganno e alla delusione per il mancato sviluppo, Aquilonia - come tanti altri paesi - rispose con l’emigrazione massiccia tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento. Decine di famiglie contadine lasciarono il paese per le Americhe, alimentando un flusso migratorio che spopolò le campagne e privò il paese di notevoli risorse umane. L’emigrazione continuò dopo la seconda guerra mondiale, verso il Sud America, la Germania, la Svizzera, l’Australia.
 
Oggi Aquilonia conosce una nuova stagione di qualificazione e di sviluppo urbano, partecipa a pieno titolo alle nuove strategie di rilancio economico e sociale dell’area, ed è impegnata in numerosi progetti di rinascita culturale basati sul recupero della memoria storica e sulla valorizzazione delle risorse ambientali ed enogastronomiche del suo territorio.

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